sabato 13 febbraio 2010

Ingegneri sventratori nel centro storico di Agrigento, sponsor Bertolaso

Data di pubblicazione: 26.01.2010
Autore: Cannarozzo, Teresa

La proposta dell’Ordine degli ingegneri di Agrigento per lo sventramento del quartiere Terravecchia e del quartiere Rabato-Santa Croce nel centro storico di Agrigento

Dal 2005 ad Agrigento si parla sinistramente della realizzazione di una “via di fuga” per fuggire dal centro storico. L’iniziativa, oscura nelle intenzioni e nelle finalità, è sempre stata intestata alla Protezione Civile e si è trascinata per alcuni anni senza materializzarsi in niente di concreto.

Improvvisamente, all’indomani della frana di Giampilieri (Messina) la vicenda è tornata di attualità per opera del Vescovo. Si è saputo infatti che l’Ordine degli Ingegneri di Agrigento è stato incaricato alla fine di ottobre 2009 da una molteplicità di istituzioni agrigentine (Comune di Agrigento, Provincia, Protezione Civile, Prefettura) di redigere una proposta progettuale che prevede la costruzione di una strada di collegamento tra il piano della Cattedrale di Agrigento, posta sulla sommità del centro storico, denominato Terravecchia, la via Garibaldi e la via XXV aprile, dopo avere attraversato il quartiere Rabato-Santa Croce, con un salto di circa cento metri.

Il nuovo tracciato, denominato “via di fuga”, di notevole ampiezza, fortemente sponsorizzato da Bertolaso, chiamato per l’occasione ad Agrigento, parte da piazza don Minzoni, dove prospettano la Cattedrale e il Seminario Arcivescovile, sventra la parte settentrionale del centro storico interessando la salita Seminario, via Oblati, prevede la demolizione di architetture medioevali di grande pregio come l’Arco Calafato, di stile gotico-catalano, ma sostanzialmente propone lo stravolgimento della struttura urbana medioevale caratterizzata da cortili, vicoli, scalinate, con spazi di relazione di grande qualità architettonica, ancora vissuti dalla popolazione.

Il nuovo percorso si biforca in due: verso sud-est, con notevoli demolizioni di edifici anche abitati, va a raggiungere via Garibaldi, dopo aver travolto il tessuto medioevale. Verso ovest, a di sotto dell’Istituto Gioeni, si snoda lungo il margine settentrionale del quartiere secentesco del Rabato-Santa Croce, demolendo abitazioni, alterando l’assetto morfologico del suolo e la configurazione spaziale dei luoghi, fino a raggiungere la sottostante via XXV Aprile con un viadotto in curva.

Il centro storico di Agrigento è tutt’ora un’area degradata, che ha bisogno di amorevoli restauri, di politiche di ripopolamento, di rivitalizzazione economia e funzionale. Una parte del quartiere Rabato-Santa Croce fu interessata dalla frana del 1966 e successivamente abbandonata al degrado. Ciononostante presenta ancora tracce significative del disegno urbano strutturato da ampi cortili che formano dei terrazzamenti degradanti, raccordati da ampie scalinate o da sottopassi voltati.

Se si può convenire sull’esigenza di migliorare l’accessibilità e la mobilità all’interno del centro storico, non si può certamente assecondare la proposta formulata che sposta l’orologio ai tempi dei “Vandali in casa”.

Ci si chiede come è possibile al giorno d’oggi concepire simili programmi e si fa affidamento alla rete di Eddyburg per diffondere il necessario allarme e ampliare il dissenso.

Nel frattempo muoiono due ragazze sotto le macerie di un edificio fatiscente nel centro storico di Favara (AG); impazzano le demolizioni e si scopre che a partire dal 2003 ci sono decine di alloggi popolari completati, non assegnati e vandalizzati. La Procura indaga, ma a che serve?

sabato 6 febbraio 2010

1966, Agrigento – La lettera al Ministro della Commissione Martuscelli

Signor Ministro, all'atto di consegnarLe i risultati di due mesi di intenso lavoro, pur riconoscendo che la brevità del tempo a disposizione e la complessità di eventi e situazioni, non le hanno consentito di spingere le indagini fino al completo esaurimento di ogni conoscenza, né forse di calare l'intera materia in equilibrate ripartizioni, la Commissione ritiene che il peso della consistente documentazione raccolta, dalla quale si son potute trarre considerazioni generali specifiche, sia tale da illuminare sufficientemente sulle situazioni di fatto e di diritto. sulla concatenazione storica degli eventi e sul comportamento dei soggetti. Una risposta ai pressanti interrogativi dell'opinione pubblica può essere ora data, ed è stata data dalla Commissione.
Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento.
Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l'aspetto sociale, civile ed umano.
La città dei « tolli » non è piú l'Agrigento di un tempo.
Il volto urbano, sfigurato, potrà forse in parte essere ricuperato con generose piantagioni di verde, cui affidare la, cicatrizzazione delle ferite e la ricucitura dei tessuti, ma difficilmente, e certo con costi assai elevati, potrà assumere l'aspetto decoroso di una città umana: le ferite inferte, anche curate, resteranno a lungo.
Ma ancora piú delicato si prospetta il problema dei rapporti umani, che, con l'accertamento e la punizione di colpe, esige che sia posto fine alle sofferenze della popolazione agrigentina, a lungo vessata dall'arbitrio.
È per questi pro fondi motivi che la Commissione ritiene di aver assolto nel rispetto del vero, della legge e dei principi della umana convivenza, il proprio mandato e di aver fornito elementi per un sereno giudizio e per efficaci proposte.
La gravità dei fatti rilevati pone senza dubbio la situazione di Agrigento al limite delle possibili combinazioni negative dei molteplici fattori che concorrono alla formazione di una città, alla sua crescita ed alla sua guida.
E l'evento franoso, verificatosi in questa città, potrebbe dirsi in un certo senso coerente con questa aberrante situazione urbanistico-edilizia.
Ma la Commissione, nel rimettere gli atti, sente il dovere di segnalare all'attenzione del Signor Ministro, dei Parlamentari e di tutti i responsabili delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali, la gravità della situazione urbanistico-edilizia del paese, che ha trovato in Agrigento la sua espressione limite.
E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico.
Il problema non può, ovviamente, essere risolto che con una nuova legge urbanistica - la cui emanazione non dovrebbe essere ulteriormente rinviata -; ma in attesa che tale legge entri in vigore e dispieghi suoi effetti positivi e rinnovatori, appare indispensabile ed urgente l'adozione - eventualmente anche nella forma del decreto-legge - di alcune essenziali ed incisive norme di immediata operatività, atte ad affrettare la formazione dei piani, ad eliminare nei piani e nei regolamenti le piú gravi storture relative ad indici aberranti e a troppo estese facoltà di deroga e ad impedire i più vistosi fenomeni di evasione e di speculazione.
Se, da un serio esame della situazione urbanistico-edilizia di Agrigento potranno emergere, con l'ampliamento dell'orizzonte e con una precisa volontà operativa, atti concreti di progresso urbanistico, la frana di Agrigento non sarà soltanto ricordata come un evento calamitoso, che ha posto in luce gravi patologiche locali, ma potrà aprire un nuovo capitolo nella storia urbanistica dell'intero paese.

Michele Martuscelli, Amindore Ambrosetti, Giovanni Astengo, Nicola Di Paola, Giuseppe Guarino, Bruno Molajoli, Angelo Russo, Cesare Valle

Roma, 8 ottobre 1966

IL NUOVO SACCO DI AGRIGENTO - LA VIA DI FUGA

Tutto scaturisce da un ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, la n.3450 del 16 luglio 2005, riguardante l’estensione dello stato d’emergenza di cui al D.P.C.M. 19.03.2005 al territorio del comune di Agrigento interessato da gravi dissesti idrogeologici con conseguenti movimenti franosi della collina del Duomo, la quale dispone il consolidamento dell‘intera collina di Girgenti, del Duomo, del Seminario e della chiesa di Sant’Alfonso.
Nelle more che questi interventi vengano realizzati e a seguito di successivi “tavoli” si concorda di realizzare una via di fuga temporanea e pedonale, in vista di una cantierizzazione dei luoghi e nella eventualità si possa verificare un’emergenza.
I criminal minds, destinatari dell’ordinanza superano se stessi facendo molto di più, ma molto di più...
Non una via di fuga temporanea e pedonale per mezzi a quattro ruote motrici come concordato, ma un sistema di strade di penetrazione, chiamate strategicamente “vie di fuga” al fine di creare tensione e una emergenza non incombente.
I’ipotesi di progetto prevede lo srotolamento di un tappeto d’asfalto largo sei metri nella parte più critica del centro storico, sventrando tutto quello che incontrano, per poi piombare nel quartiere Rabato con una strada di oltre 10 metri di larghezza su viadotto.
Proprio sull'area classificata dal Piano di Assetto Idrogeologico, P4 e R4 (classi di pericolo e rischio massimo). Dimenticando volutamente che, appena 44 anni fa, la frana del 19 luglio 1966 sconvolse proprio quelle zone teatro di questo scellerato progetto.
Un testo illuminante è la rivista n. 48 dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, dove vi è pubblicata la relazione Martuscelli. Il rapporto che svela il Sacco dei Sacchi consumato nella Città dei Tolli.
Dal Caso di Agrigento scaturiranno poi una serie di leggi urbanistiche fondamentali.
Oggi le stesse istituzioni, non soddisfatte di avere devastato la Città con i tolli, la Valle dei Templi e San Leone con gli abusi edilizi, Monserrato, Fontanelle e Villaggio Mosè con disordinati e squallidi casermoni, rimettono le mani sulla Città.
E’ tragicamente dimostrato - ricordo le innocenti vittime di Favara - che le "le vie di fuga" non servono a nulla.
Anche se la casa crollata fosse stata cinta da una autostrada a 4 corsie, la tragedia si sarebbe consumata ugualmente.
Ma poi, fuga da cosa?
In caso di eventi sismici o franosi, la storia insegna che le strade sarebbero le prime ad essere impraticabili.
Un monitoraggio puntuale delle unità abitative, operato da tecnici irreprensibili e una seria politica antiabusivismo avrebbe potuto evitare la sciagura.
La pubblica incolumità si esercita con la messa in sicurezza del Centro Storico, successivamente si pensa alla sua riqualificazione, soprattutto tenendo conto che è un Bene Culturale, art.1 L.R.70/76.
L’efferato sventramento del Centro Storico di Agrigento, proposto nell’ipotesi di progetto dell'Ordine degli Ingegneri è finalizzato solo ed esclusivamente ad una pura speculazione edilizia ed è concepibile solo nell'ultima provincia d'Italia.
Vi risulta per caso che a Perugia, Siena, Urbino, Erice, Ortigia, Ragusa Ibla, Taormina e tanti altri Centri Storici italiani abbiano fatto o pensato una simile porcata?
La prova dell’inconsistenza della via di fuga sta nel fatto che è stata pensata solo per il quartiere Duomo, che è dotato di una strada sufficientemente larga, mentre per i quartieri cul-de-sac come San Michele, via Neve, via Cannameli, Santo Spirito, San Francesco, Santa Maria dei Greci, nemmeno l’ombra.
Appare evidente, quindi, che l'esigenza di evacuare velocemente vi è solo in quel quartiere, cui prodest.
O forse… non è una via di fuga?
Un progetto di riqualificazione urbana deve essere finalizzato a trasformare in una polarità residenziale e turistica la Città dei Templi.
Quindi affidato ad eccellenze nell’ambito dell'Urbanistica, con la promozione di un concorso di idee e non certo affidato ad un manipolo di gregari al soldo di gruppi politici ed imprenditori.
MI CHIEDO PER QUESTA CITTA’ CONDANNATA ALLA DAMNATIO MEMORIAE…
COSA STANNO FACENDO:
la Soprintendenza per i Beni Culturali, il Servizio per i Beni Paesistici, l’Università di Palermo, la Facoltà di Architettura di Agrigento: visto che c’è, il Genio Civile, l’Ordine degli Architetti, l’Ordine dei Geologi, la Legambiente, Peppe Arnone: mi pare che l’emergenza tessera sia finita, l’Intellighenzia agrigendina: i cervelli scappano anche senza via di fuga, l’Eterotutela del Comune di Agrigento: come mai non è ancora scattata, il Vice Sindaco Muglia: che ama tanto l’Arte e l’Architettura, la Politica colta…, la Chiesa: anche Agrigento ha un’anima da salvare, i Giornalisti: quelli Veri, la Camera di Commercio, l’Ordine dei Veterinari, l’Albo delle Levatrici, il Telamone: visto che è tornato in città...?


Genius Loci

NON POSSIAMO METTERLO IN SICUREZZA? ALLORA DEMOLIAMO IL MOSTRO DI CEMENTO ARMATO

Pietro Fattori:
E' di oggi la notizia che la soprintendente ai Beni Culturali Gabriella Costantino ha dato parere negativo al progetto della Moncada Energy di mettere in sicurezza, a proprie spese, il viadotto Akragas, aggiungendo al progetto stesso, una tettoia con pannelli fotovoltaici.

Ho tra le mani un numero de "La Scopa", il glorioso giornale diretto dall'avvocato Salvatore Malogioglio prima e dall'avvocato Giuseppe Grillo poi: in un articolo del 1971 il cronista denuncia la scellerata decisione di costruire un lungo serpentone di cemento armato per collegare Agrigento con il nuovo quartiere "ghetto" di Villaseta. Già all'epoca, all'indomani del disastroso sacco edilizio, l'opinione pubblica esprimeva non poche perplessità in ordine alla costruzione di un mostruoso viadotto di cemento armato nel cuore della Valle dei Templi. Una operazione, si legge nell'articolo, voluta ed autorizzata dallo Stato e che "farà arricchire imprese non agrigentine". E così fu.

Oggi, dopo 40 anni, siamo noi a piangere gli esiti di quel modo di amministrare la cosa pubblica. Siamo noi a piangere quella porcheria che si erge arrogante sulla valle dei templi; siamo sempre noi a piangere parenti e amici che in quel ponte hanno trovato la morte. Per costruirlo hanno impiegato poco tempo: le autorizzazioni sono arrivate con una celerità inaudita. E' stata permessa la distruzione di una necropoli: la mia domanda dunque è la seguente.

Genius Loci:
Non capisco… da un lato sostiene che il Ponte è una porcheria, dall’altro è d’accordo a renderlo ancora più tamarro con una tettoia di pannelli fotovoltaici. Convinto per giunta che simili barriere possano fermare un’auto lanciata a 120 Km/h. Sono senza parole!!! Provi a viaggiare in Europa, anche via Web.

Cosa faceva all'epoca la Soprintendenza ai Beni culturali? Oggi la dottoressa Costantino, che in tante occasioni abbiamo avuto modo di apprezzare, ci viene a dire che l'imprenditore Moncada non potrà mettere in sicurezza quella gran porcheria che sovrasta il parco Archeologico. Moncada, imprenditore illuminato, aveva trovato una valida soluzione per coprire le spese: realizzare una tettoia con pannelli fotovoltaici da abbinare alle nuove barriere di protezione. Ancora una volta, l'imprenditore agrigentino, era pronto a sostituirsi a questo Stato latitante che di Agrigento si ricorda solo in prossimità degli appuntamenti elettorali.
Genius Loci:
Quell’opera che, quel si definisce giornalista chiama “gran porcheria”- visto che non si è degnato di verificare la notizia, visto che non si è degnato di studiare e approfondire la storia e i fatti, mi permetto di suggerirle che quella “gran porcheria”, è una grande opera ingegneristica, progettata da Riccardo Morandi, uno dei più grandi Ingegneri strutturisti di cui l’Italia può vantarsi :“Nei ponti esprime il suo estro architettonico e la sua genialità di strutturista”, come sottolineò Bruno Zevi su “l’Espresso”, che lo definì “Le Corbusier su quattro ruote”.


Sotto il profilo ingegneristico l’opera è lanciata come una sfida titanica: creare una nastro fluttuante ai margini della Valle dei Templi, che collegasse Agrigento con il nuovo quartiere di Villaseta.
Il viadotto è frutto di una armonizzazione profonda con la morfologia dell’ambiente circostante, instaurando un colloquio tra opera e paesaggio, colloquio che è fatto di assonanze e dissonanze.
La grande capacità figurativa e l’eleganza formale dell’opera morandiana hanno origine dalla volontà di comporre in unità tettonica elementi semplici e lineari, coniugando potenza strutturale e leggerezza.
Riguardo la sicurezza del Ponte, nonostante i suoi quarant’anni di età, e senza l’apporto di alcuna forma di manutenzione, è ancora efficiente e perfetto.


Le auto che volano dal ponte non sono addebitabili al ponte o all’altezza delle barriere di sicurezza, che andrebbero sicuramente riviste.
E’ come voler risolvere il fenomeno delle morti del Sabato sera eliminando dal calendario il Sabato. Morirebbero la domenica!
Probabilmente, le barriere più alte conterrebbero le auto nella carreggiata, ma rimane il problema della velocità, della distrazione, del telefonino e di altre mille cause.


Riguardo al mecenate Moncada, se vuole sostituirsi allo stato, faccia pure, ma senza chiedere contropartite, ha già distrutto mezzo paesaggio siciliano, la Valle dei Templi ha già i suoi Tolli, non aggiungiamone altri.
Un mecenate generalmente è motivato da ragioni di prestigio oltre che di gusto.
Wurth, nel finanziare il restauro della Cappella Palatina di Palermo, non ha preteso di ricoprire le pareti di bulloni e viti.


Riguardo lo stato latitante le ricordo che lo Stato siamo noi. E i latitanti a cui si riferisce sono quelli che lei in qualche modo, con la sua informazione pretestuosa e superficiale, forse inconsapevolmente, sta difendendo e sostenendo.

Ecco cosa ha dichiarato la dottoressa Gabriella Costantini: "In quelle zone non vengono concesse autorizzazioni neanche per tettoie precarie. I pannelli? Non sono previsti nel nuovo piano particolareggiato della zona A". Si negano i pannelli, ma nessuno, dico nessuno, alla soprintendenza ha mai espresso una sola parola di condanna nei confronti di quell'orrendo viadotto!

E siccome noi agrigentini conosciamo bene i tempi della politica, e sappiamo altrettanto bene che il viadotto Akragas non sarà messo in sicurezza in tempi ragionevoli, non resta che prendere in seria considerazione l'ipotesi di toglierci definitivamente di mezzo quel mostro di cemento armato. Per collegare Agrigento e Villaseta si potrebbe realizzare un nuovo collegamento, ampliando la già esistente strada provinciale n°1 "Villaseta-Quadrivio", spostando il traffico veicolare dai quartieri sud della città, alle pendici occidentali del colle.

Del viadotto della morte, tutti gli agrigentini e non, hanno "piene le scatole": come ce lo hanno imposto, 40 anni addietro, oggi, nell'impossibilità di metterlo in sicurezza in tempi ragionevoli, negando tra l'altro ai privati di poterlo fare a loro spese, ce lo devono demolire. E possibilmente, ripristinando l'area archeologica devastata, utilizzando estrema cautela nel movimentare le ruspe e pale meccaniche: i templi sono a pochi chilometri....

mercoledì 11 novembre 2009

martedì 10 novembre 2009

L’INCONTENIBILE LEGGEREZZA DELL’APPARIRE DI MASSIMO MUGLIA



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RECUPERATE” sei opere d’arte - così apre il La Sicilia del 7 novembre 2009 a pagina 34 della cronaca di Agrigento. Perché erano perse? Recuperate da dove?

Massimo Muglia, rampante vicesindaco della città dei Tolli, dall’incontenibile voglia fare e di apparire, lo Schliemann agrigentino del XXI secolo, a lui dobbiamo l’operazione culturale “erezione gigante” nella Valle dei Templi, mi riferisco all’opera di anastilosi frankesteiniana degli elementi architettonici superstiti del Tempio di Zeus.
Iniziativa “culturale” questa, antiscientifica, antistorica, contraria a qualsiasi teoria del restauro moderno: un falso storico clamoroso.
Ma anche storico dell’arte. La grande tela del Camuccini, oggi esposta al Collegio dei Filippini, la definisce “un po’ rinascimentale, un po’ neoclassica, un po’ di tutto e il contrario di tutto” praticamente il nulla, si mantiene largo, prima o poi il periodo giusto lo becca, dotta critica, complimenti!
Ma anche architetto. Il complesso architettonico di Santo Spirito, realizzato con atto di fondazione del 1299, secondo il Muglia è “arabo, normanno e chiaramontano” forse anche un po’ preistorico.
Il Museo Diocesano, uno dei pochi esempi di architettura contemporanea agrigentina, insieme al Museo Archeologico Regionale di San Nicola, progettati dall’arch. Franco Minissi, definito “scatolone sproporzionato che ostacola il panorama”: questo significa sconoscere la storia di quel luogo e di ciò che vi era prima dell’attuale edificio!
Sicuramente il vicesindaco Muglia è mosso da un profondo amore e sensibilità per l’arte, l’architettura e l’archeologia. Di fatto, gli obiettivi finora raggiunti sono deludenti e quelli che si prefigge di raggiungere si prefigurano disastrosi per la Città e la stessa immagine, come luogo di storia, di cultura e di vivibilità.
Potrebbe fare molto di più per Agrigento, come epurare i suoi cattivi consiglieri, oppure far scattare l’autotutela sull’unica testimonianza di villaggio trogloditico bizantino del Balatizzo, che richiama i villaggi coevi di Cava d’Ispica a Ragusa e di Molinello ad Augusta, oggi, fortemente minacciato da uno sciame di accaniti ingegneri scalpitanti per la realizzazione, a qualunque costo, del loro bel progettino di via di fuga sul versante Nord-Ovest della collina di Girgenti, caratterizzata da alte pareti a strapiombo e da una tragica storia di dissesti e speculazioni edilizie: come le frane del 1944 e del 1966, il dissesto statico della Cattedrale, del Seminario e della chiesa di Sant’Alfonso.
Tutto questo forse non è sufficiente a farli desistere da questa scellerata via di fuga.
Spero prevalga il buon senso.

Il PAI, il Piano di Assetto Idrogeologico oggi e, la legge n.183 del 18 maggio 1989 prima, classifica il versante Nord della collina di Girgenti, a rischio R4, che rappresenta il massimo pericolo delle classi di rischio.
Ed ancora, l’assurdo progetto descritto su La Sicilia del 7 novembre 2009, circa il raddoppio della via Empedocle, che prevede l’assedio stradale dell’unica porta di epoca chiaramontana ben conservata, porta Panitteri, riducendola ad un volgare spartitraffico.
In un epoca dove tutti i Centri Storici d’Italia che si rispettano, diventano ZTL (zone a traffico limitato), noi, che siamo indietro di almeno cinquantanni, proponiamo, in nome della pseudo sicurezza, della pseudocultura e della pseudoemancipazione, sventramenti, realizzazione di ampie strade di penetrazione nel quartiere estremamente delicato di Santa Croce (sicuramente finalizzate ad una futura speculazione edilizia), vie di fuga su aree a rischio idrogeologico, anastilosi telamoniche improponibili, sottopassi pedonali “depotenziati” in piena zona archeologica, la passerella a porta Aurea che risolve un problema inesistente, mega parcheggi ad altissimo impatto in piena Valle dei Templi, lo squallido piazzale del posto di ristoro, senza un albero senza un filo d’ombra, l’apertura di spazi espositivi inguardabili. LA CULTURA E’ UN’ALTRA COSA!
Mi duole molto ammetterlo, ma rimpiango il senatore Calogero Sodano.


Un invito alla riflessione con le indimenticabili parole con le quali fu consegnata al ministro Giacomo Mancini la corposa relazione sulle cause della frana di Agrigento che sa di estrema attualità…

”Signor Ministro,
[…] Gli uomini, in Agrigento, hanno errato, fortemente e pervicacemente, sotto il profilo della condotta amministrativa e delle prestazioni tecniche, nella veste di responsabili della cosa pubblica e come privati operatori. Il danno di questa condotta, intessuta di colpe coscientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica, è incalcolabile per la città di Agrigento.
Enorme nella sua stessa consistenza fisica e ben difficilmente valutabile in termini economici, diventa incommensurabile sotto l'aspetto sociale, civile ed umano. La città dei « tolli » non è piú l'Agrigento di un tempo. Il volto urbano, sfigurato, potrà forse in parte essere ricuperato con generose piantagioni di verde, cui affidare la, cicatrizzazione delle ferite e la ricucitura dei tessuti, ma difficilmente, e certo con costi assai elevati, potrà assumere l'aspetto decoroso di una città umana: le ferite inferte, anche curate, resteranno a lungo. Ma ancora piú delicato si prospetta il problema dei rapporti umani, che, con l'accertamento e la punizione di colpe, esige che sia posto fine alle sofferenze della popolazione agrigentina, a lungo vessata dall'arbitrio. […]
La gravità dei fatti rilevati pone senza dubbio la situazione di Agrigento al limite delle possibili combinazioni negative dei molteplici fattori che concorrono alla formazione di una città, alla sua crescita ed alla sua guida. E l'evento franoso, verificatosi in questa città, potrebbe dirsi in un certo senso coerente con questa aberrante situazione urbanistico-edilizia.[…] E non può, nel concludere, non auspicare che da questa analisi concreta parta un serio stimolo nel porre un arresto - deciso ed irreversibile - al processo di disgregazione e di saccheggio urbanistico”.
Roma, 8 ottobre 1966
Michele Martuscelli, Amindore Ambrosetti, Giovanni Astengo, Nicola Di Paola, Giuseppe Guarino, Bruno Molajoli, Angelo Russo, Cesare Valle.











mercoledì 14 ottobre 2009